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Il cordone della rabbia

Giulia e il cordone della rabbia


12 giugno 2010

Sono le 9. Incontro per la prima volta Giulia. 
35 anni, single, una laurea in farmacia, un lavoro come educatrice in un asilo nido.
Fin dalle prime fasi del suo racconto la invito a praticare SET.
Carina, simpatica, dotata di un’intelligenza molto vivace, entra facilmente in contatto con le persone. E’ solo in parte soddisfatta di sé e della sua esistenza.
Vive con ansia le relazioni, soprattutto quando si fanno più intime o più strette. Desidera un rapporto affettivo stabile ma nei fatti sabota qualunque legame non appena le richiede impegno.
Nei rapporti con  l’altro riconosce di vivere proiezioni dei suoi rapporti patologici con i genitori, in particolare con la madre.
Non è riuscita a mantenere un impiego corrispondente al percorso universitario e vive il suo lavoro, che pure l’appassiona, come segno di  una profonda insicurezza che si riconosce e che la condiziona pesantemente.
Con la madre non ha rapporti da 17 anni. Un vissuto di forte sofferenza la lega a lei. La rabbia trattenuta una vita intera per non essere stata amata, stimata, coccolata, apprezzata come avrebbe desiderato e come sarebbe stato giusto, unita al senso di colpa per non essere riuscita ad essere una figlia perfetta per la madre, le impediscono di tagliare il cordone ombelicale, di liberarsi dai condizionamenti dell’infanzia. La distanza fisica e temporale, come spesso accade, non le serve a creare una distanza psicologica e spirituale: al contrario, rafforza in Giulia la spinta ad effettuare scelte lavorative e affettive sempre e comunque in “sfida” con lei, mai libere e rispettose dei suoi desideri più profondi.
Desidera fortemente arrivare ad una svolta decisa nella sua vita.
Intravvede potenzialità e obiettivi ma l’indecisione e la confusione sono di ostacolo. L’insicurezza la blocca. . E il blocco si rende visibile anche nella difficoltà di esprimere emozioni e sentimenti.
Mi accorgo che Giulia, che ha alle spalle psicanalisi, psicodramma, costellazioni familiari, riflessologia e molto altro, verbalizza facilmente, dimostra una grande consapevolezza di sé, razionalmente riconosce i nuclei di dolore che le appartengono ma fatica a sintonizzarsi con il vissuto emozionale.

Sono le dieci, Giulia sta praticando da quasi un’ora SET mentre parla e risponde alle mie domande. Appena percepisco in Giulia i segnali di un contatto con l’emozione dolorosa  propongo di iniziare a praticare  EFT.
Ci accordiamo per un’ora di intenso lavoro sugli aspetti emersi nella parte introduttiva. Accetta.
Chiedo a Giulia di dirmi dove sta percependo l’emozione nel corpo. Risposta: gola, respiro, pancia.
Scelgo di partire dal respiro perché spesso riscontro che un paio di giri sul respiro bloccato sono una chiave perfetta per superare eventuali barriere all’emergere dei contenuti più profondi.
“Anche se quando parlo di mia madre e di tutto il mio dolore sento che mi si blocca il respiro posso accettarmi così come sono……”;
“Anche se dietro il mio respiro bloccato c’è tutto il mio dolore, tutta la mia rabbia, tutta la mia tristezza, tutta la mia solitudine…posso accettarmi anche con questo bagaglio di  sofferenza.”
“Anche se ho paura di vedere cosa si nasconde dietro al mio respiro bloccato, sono al sicuro, posso fidarmi dello strumento che ho scelto e per il quale mi trovo qui oggi e riconosco in me la capacità di gestire quello che emergerà”.
 In pochi istanti l’ansia che riferisce all’altezza del petto si concretizza in un’immagine mentale: si vede in una piazza, circondata da molta gente, nei panni di  una statua di marmo vestita da pagliaccio. Tutti ridono divertiti intorno a lei. Nel suo cuore il pianto, la solitudine, il gelo interiore.
“Anche se mi sento bloccata, irrigidita, fredda come quella statua e sono costretta a mettere una maschera…posso amarmi e accettarmi completamente”; “anche se c’è un contrasto forte fra come appaio e come mi sento….”;  anche se devo questo dolore a mia madre …”e qui Giulia riesce finalmente a contattare quella RABBIA  che credeva sepolta e rimossa grazie ad un processo di rielaborazione prettamente razionale.
L’immagine mentale che arriva è una scritta che riempie a caratteri cubitali tutto il suo schermo mentale: STRONZA!!!
Picchiettiamo tutti i punti, con calma, declinando questa parola  nei vari aspetti che sostanziano il giudizio così crudamente espresso nei confronti della madre: “sei stronza perché sei  egoista; sei stronza perché mi hai generato per guarire i tuoi problemi interiori; sei stronza perché mi vuoi diversa, perché non mi conosci, perché non mi sostieni, perché ti metti in competizione con me, perché mi giudichi incapace, perché mi metti contro mio padre….ecc.;ecc…
Lungo tutto questo processo Giulia appare fortemente coinvolta: lo dicono le lacrime, il tono della voce, i lineamenti, lo sguardo. Il picco emozionale lo raggiunge quando la parola “stronza” lascia il posto al commento:  “come hai potuto?!” Come hai potuto comportarti così, come hai potuto farmi tanto male, come hai potuto?!
Gradualmente l’intensità emotiva scende, fino a farle dire di sentirsi molto più rilassata. La parola che occupava tutto il su schermo mentale scompare. Ed anche il commento successivo svapora.
Passiamo a picchiettare l’altra faccia della medaglia: la rabbia verso se stessa.
La rabbia per avere da un lato tradito se stessa per compiacere la madre, dall’altro scontentato la madre per cercare di essere se stessa. Un paio di giri sono utili per focalizzare questo aspetto e per lasciarne andare il contenuto distruttivo.
Le chiedo a questo punto di visualizzare la madre seduta di fronte a lei. Le riesce.
Le chiedo di immaginare il cordone ombelicale che le lega. Riesce a vederlo chiaramente e  ciò che la sorprende è il vedere che a questo cordone si aggrappa saldamente la madre. Percepisce per la prima volta il disorientamento, la paura, l’insicurezza della madre.
Intervengo con Logosintesi.: “Io recupero tutta la mia energia legata a mia madre che è qui davanti a me  e la riporto nel posto giusto in me stessa”..  Una sola frase è sufficiente per produrre un risultato strabiliante: l’immagine mentale che Giulia riporta è quella di una donna che imprevedibilmente accetta di “staccare”e restituisce alla figlia tutta l’energia che deteneva e teneva bloccata, una sorta di dono. Giulia, fra lacrime di commozione che non tenta affatto di trattenere, riceve il dono della madre, a metà fra la gioia e la paura di non saperlo gestire.
Una frase di Logosintesi per allontanare la paura si traduce in un istantaneo riequilibrio emozionale. Giulia si sente rilassata e serena.
Per la prima volta percepisce l’amore della madre, per la prima volta afferma di sentirsi accettata così com’è.  Riesce a riconoscere nella madre aspetti mai prima visti.  Si dimostra stupita e felice.
Le chiedo se se la sente di perdonarla, di rinunciare al giudizio e alla condanna, di rinunciare a vivere costantemente in sfida con lei. Sembra assentire. Cerco di capire se vi possano essere motivazioni inconsce per sabotare questo processo: ammette di essersi in fondo affezionata al ruolo della “vittima” e che lasciar andare ogni rabbia e recriminazione potrebbe avere l’effetto di esporla, impreparata, a nuove responsabilità.   Picchiettiamo tutti questi aspetti prima di procedere.
A questo punto Giulia si dice pronta e disponibile a perdonare la madre.
Le chiedo di vederla nello schermo della mente e di vedere se stessa nell’atto di scambiare un abbraccio con la madre. Le chiedo di ascoltare quello che la madre vorrà dirle e poi di donarle un perdono profondo, quel perdono capace di restituire all’altro l’”innocenza” e a se stessi la libertà.
Lascio che il processo avvenga nel silenzio della sua mente.
Giulia si scioglie in un pianto commosso e liberatorio. Afferma di sentirsi come se oggi, 12 giugno 2010, fosse nata di nuovo.
Per concludere facciamo alcuni giri per “sigillare” il cambiamento avvenuto e per consentire a tutti i suoi sistemi di riequilibrarsi a partire dalla nuova consapevolezza raggiunta.
Sono le 11.00. Qualche suggerimento per procedere da sola, la rassicurazione che in caso di bisogno mi troverà, la fiducia totale nelle sue capacità, un abbraccio gioioso e via…per Giulia inizia, ne sono certa, un capitolo nuovo della sua vita.

 

Riflessioni a sessione ultimata

Non sempre in un solo incontro assisto a cambiamenti così evidenti, tuttavia spesso accade.
Quali sono, nel caso descritto e più in generale nella mia esperienza, gli “ingredienti” che possono contribuire a fare di una sessione di EFT una buona ed efficace sessione di EFT? 

Caratteristiche del cliente: un buon percorso di consapevolezza alle spalle; una forte motivazione al cambiamento; la fiducia nella tecnica :tutte caratteristiche presenti in Giulia, che, fra l’altro,  su EFT era documentata e che aveva sperimentato con Andrea un lavoro di gruppo con EFT e Logosintesi .

Caratteristiche della relazione: l’ascolto attento del vissuto del cliente, le domande giuste per facilitare la definizione del problema, la condivisione dell’obiettivo.  Nella mia esperienza   prima di iniziare con le frasi e la sequenza cerco di riassumere sinteticamente le questioni emerse e di far  esplicitare al cliente l’obiettivo della sessione. La chiarezza iniziale mi è utile nel  compito di mantenere il “timone” del processo e trovo sia utile al cliente che ha la possibilità di verificare con più facilità  il cambiamento prodotto.

Strategie: Da quando utilizzo SET osservo che l’efficacia generale della sessione aumenta. Soprattutto quando si tratta di un primo incontro e occorre dedicare un certo tempo alla conoscenza delle questioni su cui picchiettare , SET mi consente di arrivare al cuore della sessione con un’ora di lavoro alle spalle e con la quasi matematica certezza di evitare al cliente veri e propri scossoni emozionali (in gergo frediano“sciòponi”).
Da quando pratico Logosintesi, da novembre 2008, difficilmente conduco una sessione senza farne ricorso.  Trovo che si integri perfettamente con EFT e non finisco mai di stupirmi rispetto alle possibilità che offre di accelerare il processo di aiuto. Dopo che il terreno è stato ben  arato da un buon picchiettameno osservo che Logosintesi rappresenta un prezioso elemento di accelerazione. Come dosare le due tecniche  e come alternarle nel corso della sessione?
Lo suggerisce  l’esperienza, certamente, ma osservo che  tutto il processo si colora di armonia quando lascio “fluire”, quando rimango connessa con la mia Essenza (per usare il termine tanto caro a Lammers)  e con quella del cliente. E’ quando accade questa magia che nella mia pratica riscontro  i risultati più belli.
 
Un affettuoso saluto

 

Isabella Coniglio
Mestre-Ve

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