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EFT per un reduce di Nassirya, IRAQ

 

 

Ciao a tutti,

qui di seguito trovate la lettera che Franco, un Carabiniere presente a Nassirya il giorno dell’attentato, ha deciso di inviarmi perchè la condividessi attraverso il sito. Ho avuto il piacere di conoscerlo dapprima via telefono e poi di persona, “casualmente”, in una pasticceria. Già allora ho notato la palese sincronicità dell’evento, e sentivo che ne sarebbe scaturito qualcosa di importante. Quando, a maggio, ha partecipato al corso di EFT I Livello ed è arrivato il momento di mostrare la Tecnica del Racconto (per la quale chiedo ad un partecipante di raccontare un evento vissuto in modo traumatico), si è offerto volontario.
Quando ha iniziato a raccontare l’evento, è stato un bene che gli facessi da specchio, poichè ciò mi permetteva di picchiettare me stesso (aiutandomi a rimanere lucido e presente al suo racconto) mentre narrava fatti che avrebbero scosso chiunque. Anche buona parte del gruppo, che era intorno a noi ad ascoltare, si picchiettava per smorzare l’impatto emotivo del racconto.
Mentre raccontava, ed i fatti divenivano sempre più particolareggiati ed emotivamente intensi, le emozioni si manifestavano sotto forma di tensioni muscolari, calore, sudore, e lacrime a stento trattenute. Gli suggerivo frasi di EFT di volta in volta adatte a riequilibrare le varie scene narrate (maggiori dettagli nella Relazione), procedendo lentamente per accertarmi che i singoli aspetti fossero azzerati. Abbiamo così affrontato molti dettagli visivi (che preferisco omettere vista la crudezza), auditivi e cinestesici del suo vissuto, passando e ripassando per queste scene finchè non avevano perso intensità. Un aspetto molto importante (e presente in tutti i “superstiti” di tragedie) è stato il “senso di colpa per essere vivo, mentre i colleghi sono morti”, anche questo è stato riequilibrato. Inoltre, ricordo frasi tipo: “Anche se avrei dovuto salvarli…”; “Anche se avrei dovuto prevedere l’attacco…” che ho implementato con un pò di humour tipo: “Anche se nonostante fossi Superman non sono riuscito a salvarli…”
Dopo circa 45 minuti, una volta raggiunta una sensazione di distacco da ciò che aveva raccontato (grazie anche ad un paio di 9-Gamma ben assestati…) abbiamo concordato di sospendere quella seduta dimostrativa (ricordo che era di fronte al resto del gruppo) per poter procedere con il resto del programma del corso, e dargli la possibilità di integrare il lavoro svolto.
Ci siamo dati appuntamento per una seconda sessione, questa volta senza pubblico, per terminare l’opera. Quando ciò è avvenuto (circa 2 mesi più tardi), con grande sorpresa (di Franco) la parte di evento che aveva raccontato a maggio era rimasta praticamente a “zero”, mentre proseguendo la narrazione, altre emozioni ed aspetti sono emersi (e sono stati debitamente “picchiettati”). Abbiamo perciò lavorato per circa un’ora sul restante 25% dell’episodio, lasciando andare emozioni di rabbia e rancore, altri sensi di colpa e la tristezza per i colleghi deceduti. Abbiamo inoltre utilizzato un pò di “reframing” (ridefinizione ndr) per trasformare la freddezza da lui dimostrata in quell’evento (e ritenuta in qualche modo negativa) in “sana capacità di agire e di fare cose che gli altri non erano in grado di fare” (ad esempio, grazie alla sua lucidità è riuscito, insieme ad altri colleghi, ad aprire un varco ai pompieri iracheni evitando che il container delle munizioni esplodesse; ciò ha decisamente limitato il numero delle vittime).
Verso la fine abbiamo lavorato sui residui di tensioni nel collo e sulle spalle, e sulle emozioni ad esse collegate.
Si è trattato di un’esperienza meravigliosa, e mi auguro che possa fare da apripista per diffondere EFT tra tutti coloro i quali abbiano vissuto esperienze difficilmente immaginabili. Un enorme grazie a Franco per aver condiviso la sua esperienza, ed un altro a Gary Craig per aver inventato e diffuso EFT.

 

Andrea Fredi

 

Da Franco per Andrea “ed aggiungo anche un grazie”

Ho utilizzato EFT, guidato da Andrea Fredi, su una PTSD (reazione post traumatica da stress) avendo ottimi risultati.
Ho incontrato Andrea ad un corso di Primo Livello di EFT, dove gli raccontavo cosa mi era successo in IRAQ, ed insieme decidevamo di applicare EFT a queste tensioni durante la seconda parte del corso, cosa che facevamo.
Raccontavo quello che è riportato nella Relazione qui sotto, vivendo delle reazioni fisiche ed emotive che parlando della scala da 0 a 10 andavano anche oltre il 10.
Trattavamo il racconto per circa il 75/% e riuscivo insieme ad Andrea a riportare le emozioni e le tensioni a livello 0,
poi smettevamo, dicendoci che ci saremmo rivisti un’altra volta, per completare il 25% del racconto. Questo avveniva circa due mesi dopo, ad un altro corso di EFT di Primo Livello, che io mi accingevo a ripetere. In quella occasione effettuavo, prima di iniziare il corso, una sessione individuale con Andrea. La cosa che mi ha colpito in particolar modo, e mi ha spinto a raccontare questo sul sito e condividerlo con i praticanti di EFT, è stato che raccontando nuovamente quello che mi era successo in IRAQ, fino al 75%, come la volta precedente le mie emozioni sono rimaste a livello 0 o 1, continuavo a raccontare il restante 25% con una intensità minore, un’intensità di circa 5 / 6 riportando poi anche queste emozioni a “0”.

 

Relazione:
Missione di soccorso internazionale denominata ”Antica Babilonia” in IRAQ.

Il racconto di un Carabiniere presente al momento dell’attentato del 12.Novembre 2003.

La mattina del 12 novembre 2003, ero all’interno della palazzina, dove è avvenuto l’attentato, intento ad effettuare dei lavori al computer, quando veniva un mio collega, chiedendomi, se volevo portarmi insieme a lui ed altri al Comando al di la del fiume, distante circa 150 m., per consegnare armi e materiale vario, perché dopo due giorni, saremmo dovuti partire per far rientro in Italia. Mi alzavo ed andavo in camera a prendere le armi e gli oggetti da consegnare e ci portavamo con un VM (automezzo militare), insieme agli altri colleghi dall’altra parte del fiume, all’interno della base. Appena scesi dal mezzo, sentivamo sparare in direzione della base Maestrale, luogo dell’attentato, e subito dopo venivamo investiti dall’onda d’urto dell’esplosione, ci trovavamo a circa 150/200 metri in linea d’aria. Immediatamente notavamo la palazzina della base Maestrale avvolta da un denso fumo nero e colpi d’arma da fuoco esplodere e il mio pensiero andò immediatamente ai colleghi che stavano all’interno della palazzina. Non si riusciva a capire se vi fosse un attacco in corso e perciò indossai immediatamente il giubbetto antiproiettile, presi il fucile, diversi caricatori e la maschera antigas, sapendo che il fumo ci avrebbe potuto intossicare. La stessa cosa faceva anche un collega ed iniziammo ad avvicinarci a piedi verso la base Maestrale. Sopraggiunse anche un VM protetto in dotazione dei Carabinieri, con alla guida un altro collega, che ci fece salire a bordo e ci portò presso la base in fiamme. Scendemmo dalla parte posteriore della palazzina, superammo il recinto e ci portammo, indossando le maschere antigas, all’interno della palazzina per aiutare i feriti. Nel mentre continuavano ad esplodere ancora colpi d’arma da fuoco e non si capiva se eravamo sotto attacco od altro. Ci portammo al primo piano, invitammo i colleghi presenti ad allontanarsi per non intossicarsi con il fumo, bonificammo i vari locali unitamente ad altri colleghi ed aiutammo a portare fuori alcuni feriti. Durante l’operazione di bonifica e di ricerca di dispersi o feriti, notammo il cadavere di un nostro collega all’interno della sua stanza. Continuammo la bonifica stanza per stanza, fino ad arrivare sul terrazzo, dove vi erano le postazioni delle guardie a difesa della base Maestrale per verificare se vi fossero altre persone ferite, ma non trovammo nessuno. Dopo scendemmo e ci portammo sul davanti della palazzina constatando che i colpi che esplodevano provenivano dal container delle munizioni, ancora in fiamme, usato come deposito.
Mi prestai insieme ad altri colleghi ad aprire un varco nel recinto del retro della palazzina per far accedere i vigili del fuoco Iracheni, e inoltre diedi ausilio per spegnere i mezzi in fiamme e contestualmente ad estrarre i corpi senza vita all’interno degli stessi. Poi mi portai verso il container e cercai di fare allontanare le persone presenti nelle vicinanze al fine di evitare che un eventuale esplosione li potesse investire. Coadiuvammo anche i vigili del fuoco per lo spegnimento del container e ricordo che in quel momento accanto a me c’era un collega in evidente stato di shock. Una volta spento il container mi guardai attorno e realizzai la gravità dell’accaduto: corpi carbonizzati, di cui uno proprio sotto il container delle munizioni; diversi corpi dilaniati; resti umani sparsi dappertutto. Colleghi che fino a pochi minuti prima dell’attentato parlavano con noi, in quel momento non riuscivamo più a riconoscerli. Effettuammo in seguito unitamente al preposto personale dell’Esercito, l’identificazione ed il riconoscimento dei resti delle vittime. Provvedemmo a raccogliere in sacchetti di plastica tutti
i resti ritenuti non identificabili che erano sparsi ovunque, e ricordo in particolar modo un collega che piangendo mi chiese se lo aiutavamo a riconoscere la testa che aveva all’interno di un sacchetto di plastica. Nel pomeriggio, non saprei indicare l’ora esatta considerato che avevo perso la cognizione del tempo, continuammo in gruppi a recuperare armi, munizioni, documenti ed oggetti, anche perché alcuni Iracheni ne approfittarono per compiere “sciacallaggio”. A serata inoltrata stremati e stanchi ci portammo al di là del fiume per riposare, all’interno di un corimec (modulo abitativo), ma non riuscii a dormire in quanto mi ritornava continuamente in mente la scena della tragedia. La mattina seguente, dietro ordine ci riportammo alla Base semidistrutta, per cercare ancora parti di corpi, in particolare raccogliemmo altri resti, e li portammo all’Ospedale Militare di Talil per il riconoscimento. Nel tardo pomeriggio, ci arrivò l’ordine di rientrare in Italia, cosa che effettuavamo in serata.

Questo vuole essere un piccolo contributo all’EFT e a tutte le tecniche alternative che aiutano in modo semplice e spesso in modo efficace e definitivo problematiche in altro modo difficilmente risolvibili.

Post di Andrea: sottolineo che tutto quanto citato nella Relazione (e non è tutto, visto che alcuni particolari non sono stati inseriti vista la crudezza) è stato raccontato da Franco, dopo EFT, senza emozioni negative. Semplicemente fantastico.

 

Aggiornamento, Novembre 2007: ho incontrato Franco nei giorni dell’anniversario dell’attentato. Mi ha raccontato che, per la prima volta, lo ha passato in modo sereno pur ricevendo numerose telefonate di amici e colleghi che, gli anni scorsi, “riaprivano” la ferita.

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